Le Marche e l’emigrazione
Nonostante l’emigrazione inizi piuttosto tardivamente nella nostra regione, nel primo quindicennio del Novecento le Marche sono, dopo il Veneto, la regione del Centro-Nord che contribuisce maggiormente al mercato internazionale del lavoro. La meta prediletta è l’Argentina, dove i marchigiani, prima della Grande guerra, arrivano a rappresentare l’11% di tutti gli immigrati italiani.
Molti scelgono gli Stati Uniti con le grandi città industriali, le miniere della Pennsylvania o le piantagioni strappate al paludoso delta del Mississippi, dove sognano di diventare proprietari della terra. Partono contadini e minatori, ma anche falegnami, sarti e calzolai: artigiani che nei piccoli borghi e nelle aree urbane marchigiane vedono le loro economie minacciate dall’avanzare della grande produzione industriale nell’Italia di inizio secolo.
Con la prima guerra mondiale si interrompono i flussi migratori per riprendere subito dopo soprattutto sulle rotte continentali, quelle di Francia, Germania, Svizzera e Belgio, la terra delle miniere. Un nuovo sussulto migratorio avviene dopo la seconda guerra mondiale: si riscoprono mete americane prima poco frequentate, come il Canada e il Venezuela, si consolidano quelle tradizionali di Francia, Germania e Belgio e se ne impone una nuova, l’Australia.